L'AUTOBIOGRAFIA
Passione, professionalità, talento. Amore e consapevolezza. Soddisfazione, anche nelle delusioni perché “il vino ti insegna ad approcciarti a lui con umiltà”. Parola di Riccardo Cotarella – enologo di fama internazionale, presidente di Assoenologi dal 2013 e consulente di numerose e importanti aziende vitivinicole in tutto il mondo, nonché fondatore, nel 1979, insieme al fratello Renzo, della Cantina Falesco oggi divenuta Famiglia Cotarella e guidata dalla terza generazione – che ha fatto del vino la sua vita e de “Il vino, la mia vita” il titolo della sua autobiografia, appena pubblicata da Rizzoli e presentata il 31 ottobre in una gremita sala dei Quattrocento del palazzo del Capitano del Popolo di Orvieto, in provincia di Terni. Al suo fianco personalità presto diventate amiche, come Massimo D’Alema.
“Fu Riccardo – ha ricordato quest’ultimo – ad interpretare la vocazione di un territorio vocato al vino, prodotto agroalimentare a più alto contenuto intellettuale, come la vallata che da Otricoli sale verso Narni, trasmettendo la sua capacità di lavoro enorme con punte di professionalità impressionante”.
Leonardo Lo Cascio, importatore per oltre trent’anni dei suoi vini negli Stati Uniti d’America, divertitosi a tratteggiare anche il lato più umano e generoso dietro l’immagine dell’imprenditore di successo. E ancora Brunello Cucinelli, che ha richiamato l’importanza della qualità, e Bruno Vespa, autore della prefazione di “un libro che – ha detto – non è assolutamente autocelebrativo, ma insegna ad amare il vino”.
Il rimpianto più grande? La mancanza di quel padre che ha tracciato la strada. “Se ho intrapreso questo percorso – ha confidato Cotarella – lo devo a lui che, in qualche modo, mi ha imposto di fare l’enologo. Il settore ha conosciuto una rivoluzione copernicana. Evolvono i gusti, cambia il clima, muta il mercato. Il vino è un elemento in continua evoluzione che impone di essere aggiornati affinché possa continuare ad essere qualcosa di prezioso, materialmente e immaterialmente. Con lui non c’è mai da stare tranquilli. Va seguito, curato e coccolato come un bambino che, a un certo punto, cresce e fa di testa sua. E, allora, va assecondato”.
Un’attività ai massimi livelli, la sua, che ha portato l’Umbria nel mondo. “Lo scenario attuale – ha aggiunto – non è dei migliori. Manca imprenditorialità, abbondano improvvisazione e approssimazione in ogni settore. Il vino, in questo, è un grande indicatore di crisi e di uscita dalla crisi. Si consuma quando siamo tranquilli, quando festeggiamo nelle feste paesane, nelle cerimonie, in famiglia. Quando ci sono crisi economiche e sociali, non rientra certo tra i primi desideri ed è lì che annuncia la crisi. Se il vino cambia è grazie anche al lavoro dell’enologo che si affina. Finché ci sarà il genere umano, ci sarà vino”. La forza delle radici, dal terreno alla bottiglia.
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